Parità salariale tra donne e uomini: ora l’Italia ha la sua legge

Uno strumento normativo per combattere le discriminazioni di genere in busta paga

13 dicembre 2021

Materialeestra15

La parità salariale tra uomo e donna in Italia è legge. Il testo unico sulla materia è stato approvato all’unanimità dal Senato il 26 ottobre scorso: il testo modifica il “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna” (Dlgs 11/04/2006 n. 198), in modo da ridurre le differenze nelle retribuzioni.
L’intervento normativo si è reso necessario a causa del persistere della diffusione di discriminazioni salariali in base al genere, nonostante la Costituzione sancisca che "la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore" (art.37) e nonostante l’esistenza di norme antidiscriminazione. Il problema non è certamente solo italiano, tanto che la Commissione europea si era già mossa lo scorso marzo presentando una proposta di direttiva per rafforzare la parità retributiva di genere. La direttiva, ancora da approvare, prevede il diritto da parte dei lavoratori di chiedere ai propri datori di lavoro informazioni sui livelli salariali medi ripartiti per genere, oltre a prevedere per le aziende di oltre 250 dipendenti, l’obbligo di rendere pubbliche le informazioni sul divario retributivo e di effettuare periodicamente una valutazione dei salari.
I dati statistici relativi alla discriminazione salariale di genere sono vari, e spesso contrastanti; esistono infatti due tipi di Gender Pay Gap. Il cosiddetto GPG "grezzo", ovvero quello basato sulla differenza media della retribuzione lorda oraria, e il GPG complessivo, che invece prende in considerazione, oltre al salario orario, anche il numero medio mensile delle ore retribuite e il tasso di occupazione femminile. Si deve tenere conto, inoltre, delle differenze tra settore pubblico e privato, del fatto che ci sono settori dove le disparità sono molto più forti rispetto ad altri, o ancora, di molte tendenze che vedono un peggioramento del gap con l’aumentare del livello di inquadramento e con le dimensioni dell’azienda. In base all’ultimo report del World Economic Forum, l’Italia si colloca al 76° posto su 153 Paesi della classifica mondiale del Gender PayGap.
Il fulcro centrale del provvedimento italiano sono le misure relative alla parità salariale, ma la legge agisce anche sul piano della trasparenza, organizzando una sistematica raccolta dei dati sulla situazione lavorativa delle donne e sulla messa a disposizione delle informazioni.
La principale novità riguarda l’estensione dell’obbligo di redigere un rapporto biennale sulla situazione del personale maschile e femminile in termini di occupazione e retribuzione: prima la norma obbligava le aziende con più di 100 dipendenti, adesso invece l’obbligo è esteso alle aziende con più di 50 dipendenti, ampliando così il bacino di interesse da circa 13.000 imprese a più di 31.000. Tale report dovrà contenere indicatori come salari, inquadramenti, congedi e norme di reclutamento; l’elenco delle aziende che trasmetteranno o meno il rapporto sarà pubblico e i dati saranno consultabili da tutti, con la conseguenza che le imprese saranno spinte ad impegnarsi per mantenere la loro reputazione.
Un’altra importante novità è l'introduzione di un meccanismo incentivante tramiteil rilascio di una certificazione ad hoc: dal 1 gennaio 2022 verrà infatti istituita la Certificazione di Parità, con l’obiettivo di riconoscere le misure adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere, in relazione alle opportunità di crescita, alla parità salariale, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità. Tale certificazione garantirà alle aziende selezionate sgravi contributivi fino a 50.000 euro l’anno e condizioni di vantaggio nelle gare d’appalto a valere su fondi europei.
Inoltre, la norma estende la definizione di discriminazione di genere sul posto di lavoro, in particolare ai comportamenti che creano posizioni di svantaggio rispetto ad altri lavoratori, limitano le opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali, oppure limitano l’accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione della carriera.
La legge infine prevede l’estensione anche alle società controllate da pubbliche amministrazioni, e non quotate, della regola dei due quinti di presenze femminili (Legge Golfo-Mosca) nei Consigli di Amministrazione per i primi sei mandati successivi all’applicazione della norma.
Questa legge rappresenta non solo un passaggio significativo al contrasto della disuguaglianza di genere e in particolare della disuguaglianza salariale, ma anche un'opportunità di crescita economica del Paese, in ottica di equità e meritocrazia.